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Giancarlo Pacini
L’artigiano del Cosmo

Gian Carlo Pacini (Livorno, 1935) si formò all’Istituto d’Arte di Firenze, avviando fin da giovanissimo una carriera espositiva con la sua prima personale nel 1953. Trasferitosi a Torino nel 1960, entrò in contatto con la vivace scena artistica e culturale della città, insegnando al Liceo Artistico e all’Istituto d’Arte Statale. Qui iniziò a sperimentare la luce artificiale come medium autonomo, trasformando i suoi lavori in opere vive e interattive. Pur non aderendo a movimenti come l’Arte Povera o il Minimalismo, il suo lavoro dialogava con essi, condividendone la tensione concettuale e l’uso innovativo dei materiali. La sua ricerca, incentrata sulla luce, sull’energia e sull’interazione uomo-ambiente, attirò l’attenzione di critici e curatori, portandolo a partecipare a importanti mostre in Italia e all’estero. Le sue opere, accolte con favore dalla critica, sono oggi presenti in collezioni pubbliche e private, consolidando il suo ruolo di artista indipendente e innovativo nel panorama contemporaneo.

Ho voluto dare allo spazio psichico un'importanza estrinsecandolo in immagini, come ha importanza un mio gesto in cui si traduce un movimento interiore, volendo quasi in modo scientifico portare il mondo psichico a coincidere con lo spazio fisico, superando il dualismo in tutti noi. Il fatto che mi sia cimentato con vetri, luce, e stratificazioni varie prolungando la vita psichica nello spazio fisico è riproponendo la stessa operazione altra volta affrontata per mezzo della tela dipinta realizzata con altri mezzi e cercando di realizzare questi miei lavori nella forma più finita; e non accettare che siano soltanto schizzi, progetti da svolgere ulteriormente. Poiché in ogni mia opera esiste sia il progetto sia il punto risolutivo della compiutezza. Se le due cose coincidono si potrà magari arrivare a ciò che apparirà esteriormente elegante. Ma sarà elegante perché è preciso: il risultato di una scelta responsabile nel pieno senso della parola.

Ho insistito nella mia opera sul carattere visionario di proiezione d'interiorità, degli elementi vitali per dare la chiave appropriata ed intenderne gli svolgimenti più recanti questo contrasto, tra ragione operante e visione allucinata, tra operazione manuale tradotta nelle strutture rigide di sagome, gabbie, e proiezione di immagine epifaniche di sigle archetipiche costituisce il tema centrale delle ultime fasi del mio lavoro.

Non si tratta per approdare ai risultati presenti, di variare il punto di vista materiale ed intellettuale della contemplazione della vita, ma di assumere nella prospettiva di una visione totale entrambi i termini: soggettivo e oggettivo, teoretico e pratico della relazione uomo-ambiente.

Gian Carlo Pacini, "Le ragioni del mio lavoro", da L’Avanguardia italiana 1945 – 70

La vena poetica di Pacini non rischia certo di affievolirsi nel tempo, di fissarsi in formole standardizzate d'effetto sicuro: l'energia psichica della sua fantasia alimenta sempre nuove immagini e figurazioni, trasforma in piccole meraviglie i più comuni oggetti trovati. Non viene mai a mancare, come già aveva scritto anni fa Albino Galvano, "quell' urgenza di proiettare sulla tela o nell'Oggetto quel ricco colorato mondo di interne visioni, quel formicolare pulsante di forme in metamorfosi, che è il contenuto d'elezione della sua fantasia".

Qui l'inquietudine esistenziale, che pure si percepisce a volte come una leggerissima ombra, appare come sublimata nella dimensione spazio-temporale completamente trasformata dell'immaginario: è la tensione che spinge a continuare il viaggio al di là dei punti di riferimento sicuri, oltre le tranquillizzanti certezze del senso comune, alla ricerca continua di nuove esperienze, di nuove suggestioni.

Francesco Poli